Campiello Opera Prima 2015 – Intervista a Enrico Ianniello
La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin (Feltrinelli), felice e originale esordio narrativo dell’attore Enrico Ianniello di cui abbiamo pubblicato la recensione qualche tempo fa, si è aggiudicato il Premio Campiello Opera Prima 2015. Sul Romanzo ha fatto qualche domanda all’autore, che verrà premiato a Venezia nel corso della serata finale del 12 settembre, durante la quale emergerà dalla rosa dei cinque finalisti il nome del vincitore del Supercampiello.
Lei è in prima istanza un attore, ha studiato recitazione e lavora da anni fra cinema, teatro e televisione. Qual è il ruolo della scrittura nella sua vita? Le è sempre piaciuto scrivere, oppure ha avvertito l’esigenza di farlo solo in tempi recenti?
Ho sempre scritto per il teatro, adattato testi e soprattutto, negli ultimi anni, ho tradotto dal catalano drammi di autori poi andati in scena con successo in Italia. Quindi la frequentazione con la scrittura è di vecchia data e deriva anche da una particolare attenzione posta nella lettura, nell’esegesi, nella destrutturazione e nell’interpretazione dei testi teatrali insieme a registi come Toni Servillo, Leo de Berardinis o Andrea Renzi.
Chi o cosa le ha fatto pensare a un protagonista che si esprime fischiettando?
Isidoro e la sua particolare abilità mi sono venuti in mente cercando una dote non speciale su cui fondare una peculiarità; doveva essere una dote comune, un regalo che fosse stato fatto biologicamente a tutti, indistintamente: quello cioè di avere uno strumento musicale nel corpo, uno strumento che non ha bisogno di tecniche particolari per essere suonato, di diteggiature complesse o di esercizi di respirazione articolati e faticosi. Uno strumento regalatoci alla nascita, per usare il quale bisogna solo appuntire le labbra e iniziare a soffiare; piano piano, dopo qualche giorno, nasce una vibrazione che si può trasformare in musica, e grazie alla quale possiamo fischiare Celentano, Poulenc, Sergio Bruni o Mozart. Però Isidoro non si esprime fischiettando, bensì fischiando! Ci corre la stessa differenza che c’è tra il canticchiamento e il canto, chiarita nella quarta di copertina, o tra lo scherzo e il suo parente serio, il gioco.
La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin ha il ritmo di una favola, ma riesce a integrare perfettamente i toni della commedia a quelli della tragedia. Raccontare il terremoto dell’Irpinia era un’esigenza personale, un modo per esorcizzare i suoi ricordi?
Non particolarmente. Io ho vissuto il terremoto ma senza accenti tragici, nella mia famiglia c’è stata solo un po’ di paura e nient’altro, una fuga a capofitto giù per le scale buie e basta, senza perdite di nessun tipo. Però la rivoluzione fischiata che prende corpo, il sogno di un’umanità felice e leggera che trova la propria libertà in una cosa così semplice e a portata di mano come il fischio, aveva bisogno di essere spezzata da un evento potente, sovrumano, tragico, per rimanere così dolcemente lontana, desiderabile, quasi possibile.
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Il suo nome, già noto al grande pubblico grazie al mestiere di attore, può aver favorito inizialmente la diffusione del romanzo, ma questo non sarebbe certo bastato per arrivare al Premio Campiello Opera Prima. Si era immaginato un successo del genere?
Assolutamente no! Proprio perché sono un attore, devo pagare lo scotto della diffidenza iniziale: “eccone un altro che vuole capitalizzare la notorietà con un romanzetto sul babbo morto”. Io invece volevo mettermi alla prova con una narrazione sincera e profonda, semplice e non pretenziosa, senza abbassare l’asticella dei temi. Il premio Campiello – e la Selezione Premio Berto e Premio Bancarella – mi permettono di parlare ora con un certo agio di questa sfida e di credere, ma poco poco, di averla forse vinta. Soprattutto, posso vantarmi per tutta la vita di aver vinto un premio così importante! Sdoganamento culturale definitivamente avvenuto!
Nel suo futuro prevede, accanto alla carriera cinematografica e teatrale, una parallela carriera letteraria, oppure ci penserà un po’ prima di impegnarsi nella scrittura di un secondo romanzo?
“Scrivere fa schifo”, mi ricordo di aver letto questa frase, una volta, detta da un grandissimo scrittore, ma non dico chi per paura di sbagliare. Scrivere è faticoso, richiede naturalmente dedizione assoluta, comunicazione profonda con sé stessi e con la visione che si ha del mondo, e questa è la parte più difficile. Il teatro ti aiuta un po’ con le maschere, soprattutto all’inizio, puoi giocare con la parte di te che metti a disposizione, mentre il romanzo no, è più crudele: l’inautenticità salta agli occhi immediatamente. Ho molta voglia di scrivere ancora, aspetto di avere il tempo e il coraggio necessari per riprovarci. Comunque, spalle al muro: sì, scriverò ancora.
Come si sta preparando alla serata finale del Premio Campiello 2015?
Lavorando come un pazzo! Sto girando una serie per la televisione, e il sabato e la domenica corro dappertutto per presentare il romanzo. Ma sto anche montando il mio primo film, che uscirà in autunno, quando debutterò con un nuovo spettacolo in teatro. È un periodo piuttosto intenso. La nota positiva, però, è questa: la costumista mi aiuterà a cercare il vestito per la serata alla Fenice.
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