Ascesa e declino della regina degli emigranti. “La notte non vuole venire” di Alessio Arena
Riprende il primo verso della struggente poesia di Federico Garcia Lorca Gazzella dell’amore disperato il titolo dell’ultimo romanzodell’eclettico e pluripremiato “narrastorie” Alessio Arena, cantautore, collaboratore di riviste letterarie e traduttore, oltre che autore di svariati lavori teatrali, racconti e romanzi.La notte non vuole venire – in cui non a caso è dedicato ampio spazio al “mal d’amore” e alla figura del grande poeta andaluso, immaginato come “salvifico” amico delle due protagoniste – è statopubblicato da Fandango Libri, ed è una sorta di intensa “biografia romanzata”, come è stata definita dallo stesso autore,di un personaggio realmente esistito, Griselda Andreatini in arte Gilda Mignonette, la “Edith Piaf italiana”che a partire dagli anni Venti diffuse la canzone partenopea nel mondo, diventando la “regina degli emigranti”della Little Italy di New York.
Figlio di un membro della mitica Nuova Compagnia di canto popolare, nato nel 1984 a Napoli – città che ama ma che ammette di aver capito solo dopo averla abbandonata – e cresciuto tra la città natale e Barcellona, Arena è diventato presto un inguaribile giramondo, che dei viaggi ama però soprattutto la dimensione del ritorno. Un ritorno che è al centro anche di La notte non vuole venire,non solo perché racconta il tentativo diritornare a casa della protagonista,ma perché scrivendolo l’autore ha cercato di avvicinarsi «al centro di tutto, al posto dove sono nato. A Napoli, alla sua lingua, ma con i suoni e i colori del mondo che ormai fanno parte del mio bagaglio», come ha dichiarato in una recente intervista.
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Il romanzo si apre sull’incontro di Esterina Malacarne, per tutti solo la “guagliona”, con Gilda Mignonette che, rassicurata dall’aspetto sgraziato e dimesso della ragazza, acconsente a farne la propria interprete/assistente tuttofare. Nel successivo capitolo la narrazione si trasferisce, con un salto temporale di una trentina d’anni, a bordo del transatlantico Homeland, sul quale la guagliona inizia il suo “amarcord”. La trama si snoda infatti su due assi narrativi, quello della storia della Mignonette narrata in terza persona e quello dell’ultimo viaggio verso Napoli, con l’io narrante/Esterina, che, mentre assiste per l’ultima volta la sua signora morente, le svela tutto il “sospeso” della loro comune storia. Sull’inquietante sfondo di un’America proibizionista in cui dominano la “lunga mano” della mafia con correlata lotta tra clan rivali, la tragica sperequazione sociale e la diffidenza verso gli immigrati italiani, il 3 gennaio 1925, mentre in Italia Mussolini si assume la responsabilità politica e morale della sparizione di Matteotti e si apprestano a essere varate le famigerate leggi “fascistissime”, inizia a prendere corpo il sogno americano della Mignonette. Un sogno destinato a raggiungere velocemente il diapason, le cui tappe sono descritte da Arena in uno sfavillante quanto inestricabile intreccio di realtà e fantasia, tra successi internazionali e uova incantate, fiumi di alcool e intrighi amorosi, pizzi e avvicendamenti a vario titolo, accanto alla cantante, di leggendari protagonisti dell’epoca come F Garcia Lorca, Frank Sinatra e Rodolfo Valentino, passando per celebri mafiosi e “Farfariello”, nome d’arte di Eduardo Migliaccio, protagonista del teatro americano del primo Novecento e inventore di un originale linguaggio misto di napoletano e americano, l’italglish. Sino a che, da un lato la scoperta del tradimento delle due persone a lei più vicine, che trasforma Gilda in un’alcoolizzata furia vendicatrice, dall’altro la dichiarazione di guerra di Mussolini e l’inizio delle ostilità tra Italia e Usa, cui fa seguito una disattesa richiesta di collaborazione da parte di questi ultimi, mutano per sempre il rapporto della cantante con l’adorato marito e con le autorità americane, gettando le premesse di un inarrestabile declino umano e artistico (nella vita reale la coppia divenne da allora sorvegliata speciale dell’FBI). Una parabola discendente nella realtà come nella finzione di Arenadestinata a concludersi in mare, prima che la protagonista riesca a coronare il sogno di ritornare nella sua Napoli, per una sorta di beffa del destino a sole ventiquattro ore di distanza dal porto dell’agognata città partenopea.
Progetto di ispanoamericanista, come si è autodefinito, affascinato dalle atmosfere magico-realiste cubane, messicane, cilene e argentine, anche in questo lavoro Arena si caratterizza per la prosa dalla vivida carnalità visionaria – sebbene qui meno viscerale rispetto al passato – sospesa tra crudo realismo e lirismo spesso onirico/fiabesco con suggestioni folkloristiche, che è il suo marchio di fabbrica. Senza mai dimenticare i suoi mentori, da Roberto Bolaño a Hernán Rivera Letelier, l’autore mostra la propria maturità stilistica, attraverso un’originale cifra espressiva che mescola italiano e slang dialettale – la «lingua ammazzaruta e sporca» – tra distacco cronachistico e ardente passionalità, come quella che traspare dalle poesie dettate alla guagliona da Garcia Lorca. Arena condivide con lo Spagnolo il sentimento di tragica fatalità e mistero che è caro anche a Roberto Bolaño, cui l’accomuna inoltre, insieme all’anticonformismo di personaggi “diversamente alternativi” e in eterno viaggio/fuga, spesso in primo luogo da se stessi, il senso dell’inevitabilità del male, non dipendente solo dalle contingenze storico-sociali ma connaturato alla condizione umana; uno stato caratterizzato, sembra suggerire Arena, da una crudele guerra tra poveretti che si sottraggono a vicenda brandelli di felicità, dato che la gioia dell’uno è spesso la diretta conseguenza dell’infelicità, se non addirittura della morte dell’altro.
La notte non vuole venire è una storia di passioni intrecciate che portano con sé gelosie, tradimenti e vendette, ma è anche la storia di un viaggio che ne contiene in sé molti altri. Viaggi presenti sia come snodi narrativi – quelli di andata e ritorno Usa/Italia di Gilda, sullo sfondo dei flussi migratori di massa – sia nella dimensione evocativa, come percorso a ritroso nel tempo, lungo il filo di una multiforme memoria cui fa da collante la nostalgia per le mai dimenticate radici (emblematico il paese foggiano di Roseto ricostruito dagli emigranti).
I personaggi si stagliano con grande vividezza, tra sanguigni suoni/colori partenopei e ruggenti atmosfere noir newyorkesi, mentre, in una vertigine immaginifica, un poeta destinato a fama imperitura disegna mise scintillanti per i concerti della Mignonette e il più celebre divo dell’epoca svela insospettabili segreti.
Gilda, che fu realmente adorata sia dal pubblico, che la consacrò «regina della canzone italiana», sia dalla critica, che la soprannominò la “Carusiana”, in La notte non vuole venire è delineata nei suoi umanissimi chiaroscuri: generosa quanto vendicativa, forte e spavalda quanto fragile con l’uomo che ama, dispotica ma anche così coraggiosa da sfidare mafia e autorità americane, “nazional/patriottica” tanto da schierarsi a favore dell’Italia di Mussolini allo scoppio della guerra italo-americana e al contempo esibirsi in canzoni a favore di Sacco e Vanzetti.
Il temperamento della cantante da un lato rassicura dall’altro opprime il marito Frank che, sentendosene schiacciato e reso “invisibile”, viene attratto dall’ingenua docilità e dall’inesperienza di Esterina, che lo fanno sentire libero, permettendogli di essere e fare tutto ciò che gli è impossibile con la moglie.
«Era così grande l’ingenuità di quella donna, il suo corpo era una pagina in bianco dove Frank avrebbe potuto fare l’elenco della propria frustrazione, delle proprie paure.»
E la guagliona saputella dai capelli bianchi, brutta e informe, proprio grazie a Frank scopre l’amore anche nella sua dimensione carnale; una scoperta ben descritta nella sua stupita carica emotiva.
«La guagliona si sentì vuota, senza denti, senza lingua, senza gola, con il cuore che era diventato piccolo piccolo e stava per scomparire, forse per sempre. Che era successo? Cos’era Frank attaccato a lei, che risucchiava tutto il suo vuoto e non diceva niente? (…) Era la prima volta che le davano un bacio.»
Una carica stupita e sovvertitrice perché capace di gettare una luce del tutto nuova sia sul rapporto che Esterina ha con se stessa sia su quello che la lega a Gilda, originariamente improntato alla più classica relazione padrona/serva dominatrice/dominata.
La crudeltà, alternata a momenti di pietosa tenerezza, della guagliona verso la Mignonette, più che da invidia o istinto vendicativo nasce dalla lucidità con cui vede il loro rapporto, perché nella relazione dominante/dominato, a maggior ragione se basata sul tirannico esercizio del potere e complicata dalla gelosia, la libertà/rinascita del secondo viene spesso pagata con la disfatta/morte del primo.
«E se ti sto vicina mentre tutti dormono, è per capire che la fine di questo meraviglioso viaggio che è stata la tua vita, estenuante e meraviglioso, sarà l’inizio della mia.»
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Ad aiutare Esterina a sopravvivere, separando il “mostro” costituito dall’insieme di Gilda e Frank (pur amandolo la guagliona riconosce in lui la perfetta copia altrettanto bestiale della Mignonette) è Federico Garcia Lorca, ospite della Carusiana dopo un tentativo di suicidio. Un F G L, come si firma nelle lettere inviate alle due donne, dipinto come generoso quanto fragile, malato d’amore quanto terrorizzato dall’odio mortale che sente intorno a sé, perché molti non tollerano che vogliadiventare un uomo libero. Un F G L il cui ruolo centrale, unito al titolo, permette di leggere il romanzo di Arena anche come omaggio alla grandezza artistica dell’autore andaluso e alla forza dirompente della sua umana fragilità.
La notte non vuole venire: la struggente storia, romanzata ma non troppo, dell’ascesa e del declino della “regina degli emigranti” Gilda Mignonette.
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