Alla scoperta di una “janara”. Intervista a Licia Pizzi
Leggo molti libri, alcuni suggeriti da amici o colleghi, altri suscitano la mia curiosità tra le tante newsletter che ricevo dagli uffici stampa, alcuni casualmente mi compaiono davanti quando entro in libreria e nella mente si affaccia un “perché no…”. Licia Pizzi è una scrittrice che non conoscevo, mi sono convinto a leggerla dopo un’entusiastica presentazione del suo lavoro che mi è stata fatta su Facebook sa uno dei miei contatti. Questa autrice mi si è rivelata con pienezza nel leggere il suo breve romanzo, Piena di grazia (Ad est dell’equatore, 2018).
Con quest’opera Pizzi mi ha conquistato e ha generato in me molta curiosità riguardo i suoi passi futuri nel mondo editoriale. Un libro, il suo, che sprofonda nelle viscere della terra e dell’animo umano, lasciando trasudare dolore, ribellione, magia e ineluttabilità che si rivela altro da ciò che si credeva/subiva. La protagonista è Grazia, una ragazzina che ha sembianze strane, nata per lavorare nei campi, per essere asservita alle mansioni maschili come e di più dei suoi fratelli maschi. Le gambe e le braccia tozze, il corpo compatto e resistente, un prognatismo accentuato al punto da disegnare un ghigno che lascia intendere che anche lo sforzo più faticoso non la piegherà. Una bambina che diviene donna in fretta, che sogna un futuro diverso accanto a Nuccio, il figlio del macellaio. Ma in quella casa che ospitava i suoi desideri di fanciulla non entrerà da padrona, piuttosto da serva e verrà adibita alla cura del figlio più piccolo di Don Rafele e dei maiali. Grazia ha un rapporto speciale con questi animali, legge nel loro sguardo, decifra i movimenti di quei corpi attraverso una comunicazione che non passa dalle parole. Pizzi è dettagliata e precisa nelle descrizioni, la narrazione denota estrema confidenza con l’argomento, a tratti ho avuto il dubbio provenisse lei stessa dalla vita contadina. Un’alluvione, un disastro inevitabile nel quale moriranno molti maiali e non solo, la sposa novella di Nuccio, Assunta, che non riesce a rimanere incinta, gli affari in declino. È chiaro, tutto è iniziato dall’arrivo di Grazia nella loro casa, lei che di notte si rifugia spesso nel bosco non è altro che una janara che con le sue malie porta sventura, bisogna fermarla. Questo l’obiettivo di Nuccio, suo fratello maggiore Mario e dell’ormai stanco Don Rafele. Le cose però non andranno come loro hanno pianificato. In un intreccio avvincente, inaspettato, cesellato dalla qualità delle parole, spero troverete le emozioni e i brividi che mi hanno attraversato durante la lettura.
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Inizierei col chiederle cosa per lei rappresenta la parola.
Grazie per aver cominciato con una domanda “difficile”. La parola, come lei sa bene, per chi scrive, è il fulcro. È il cuore dell’esistere, il nocciolo duro da indagare in ogni momento. Tutto le ruota attorno, e le azioni non sono altro che le parole stesse messe in forma muscolare, fisica.
Si sceglie di scrivere o non si ha scelta?
Di conseguenza, no, non credo si possa scegliere, o almeno parlo per me. In qualche maniera credo che la parola scritta sia una “vocazione”. La scrittura chiama.
Il dolore come viatico per espiare, può essere anche questo il senso di un’opera?
Non so se la metterei proprio in questa forma, quella dell’espiazione, ma un certo tipo di dolori viene “ripulito”, come acqua che scorre, dalla scrittura, nel racconto che se ne fa. Il dolore può essere parafrasato, esposto, raccontato in metafora ed è il compagno della transizione, del passaggio a quella consapevolezza che poi diventa il senso, la traccia, dell’opera.
Chi è Grazia, la protagonista del suo ultimo romanzo?
Grazia è una rappresentazione tragica, dunque per molti versi una metafora. È la raffigurazione incarnata di un dolore che non ha parole per esprimersi, di un’ignoranza subita che non possiede gli strumenti per essere osteggiata. Ma è anche la forza di quel pensiero pre-logico, della malia magica della terra da cui proviene e in cui sta. È un personaggio fortemente terraneo che combatte, inconsapevole ma resiliente, gli eventi cui pare essere predestinata.
Le “janare” esistono ancora al giorno d’oggi?
Se non ne abbiamo la certezza possiamo soltanto sperarlo, o temerlo.
La storia da lei raccontata è sangue, carne, lame affilate, come si è affacciata nella sua mente per poi essere confessata al mondo?
Io sono sannita, Benevento e la sua provincia sono imbevuti di storia, mito, credenza popolare che riporta questi tratti. Credo che la terra trasudi la propria storia, e per quanto lontani si possa essere, a un certo punto e in qualche forma – per ognuno la propria, è chiaro – torna a fare i conti con noi.
A chi vuole avventurarsi nella stesura di un libro, cosa consiglierebbe?
Non so se ho consigli pertinenti. Di scrivere, forse, semplicemente. Di seguire la propria corrente e la propria misura.
Come è stato accolto il suo libro, è soddisfatta delle interazioni che ha suscitato?
Soddisfatta, sì. Non credo di aver pensato alla “riuscita” durante la stesura, ma l’accoglienza che finora ha avuto mi ha piacevolmente sorpresa.
Licia nella vita di tutti i giorni, quando non scrive, cosa fa?
Niente di così peculiare. Insegno scrittura e poi, assecondo le mie passioni. Leggo, vado al cinema, cose così. Cose semplici.
Ha mai avuto un maiale? Mi scusi ma non potevo non chiederglielo…
Ahahahaha… mi dispiace deluderla, ma no.
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Progetti futuri, possiamo aspettarci un’altra storia avvincente come Piena di grazia?
Il progetto c’è… e beh…avvincente? Me lo auguro!
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Per la prima foto, copyright: Rob Potter su Unsplash.
Per la terza foto di Milo Alterio, la fonte è qui.
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