Alla scoperta delle favelas. Intervista a Geovani Martins
Sono tredici racconti e alcuni sono un pugno allo stomaco, altri una scrollata di spalle per svegliarti e scoprire l’esistenza di un mondo lontano, eppure riconoscibile. Il sole in testa è il titolo del libro del giovane scrittore brasiliano Geovani Martins, uscito in Italia per Mondadori nella traduzione di Virginia Caporali e Roberto Francavilla.
La prima cosa che colpisce è il linguaggio. Nel primo racconto, è quasi estraniante, diventa uno strumento per trasportarti nella dimensione di cui Geovani Martins vuol parlare al lettore. Le favelas. Un mondo in cui si cresce in fretta, che stigmatizza, che pone etichette spingendo chi ci abita a identificarcisi. Si innesca così un circolo vizioso, perché dà piacere far paura, convalidare i pregiudizi, se non c’è alcun modo per annullarli.
Da estraniante, si trasforma in scelta consapevole, in linguaggio ben calibrato e distaccato quando il narratore si ritrova all’esterno, mentre guarda le vite dei personaggi inabissarsi nei meandri di Rocinha, la favela più grande del mondo.
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Si pensa che solitamente i racconti non vengano letti e nemmeno pubblicati dagli editori, lei è la prova che la forma è una questione secondaria. Come mai hai scelto di scrivere racconti?
All’inizio volevo scrivere un romanzo, in molti mi avevano detto che era una via più facile per accedere a una possibile pubblicazione, ma non sono riuscito a produrre un testo soddisfacente. Ho lasciato perdere e ho deciso di partecipare a un concorso rivolto a mini-storie e ho vinto. Successivamente, ho voluto partecipare a un altro concorso, con il racconto Giretto. La prima stesura non mi ha soddisfatto a sufficienza per convincermi a inviarlo.
D’altro canto, sono sempre stato affascinato dalle storie e mio fratello me ne raccontava tantissime di ritorno dalla spiaggia. Allora, ho preso spunto da queste storie, e le ho rielaborate fino a decidermi di scriverle (per esempio, Giretto mi ha richiesto sei mesi di scrittura e riscrittura fino ad arrivare alla forma attuale che mi soddisfaceva). È stato così, però, che mi sono reso conto che mi piaceva scrivere racconti.
Sono racconti molto intensi e potenti, quale le è costato più fatica scrivere? Inoltre, si ha la sensazione che in mezzo a quelle parole scorra molta più vita di quello che si possa cogliere a prima vista. Noto per esempio che molti racconti sono dedicati a diverse persone…
Dal punto di vista emotivo, il racconto che mi ha richiesto una fatica maggiore è stato Spirale, il secondo racconto del libro. Per lo stile, invece, Giretto e Roulette russa.
Mentre per quello che riguarda le dediche, ciascuna di esse ha il suo perché. Una delle persone a cui dedico un racconto è mio fratello, è stato lui la mia fonte per molte delle vicende narrate, ed è stato sempre lui a spronarmi sulla via della stesura del libro. Altri racconti li dedico, invece, per esempio a un mio caro amico, Alan, e alla sua mamma che è scomparsa prematuramente senza avere il tempo di vedere il libro nella sua forma definitiva, ma che aveva letto la storia a lei ispirata trovandola suggestiva. Mi aveva detto che le ricordava la sua infanzia.
Altre volte ho reso personaggio la persona che mi ha raccontato una determinata storia.
Un elemento molto forte di alcuni racconti è il pregiudizio. In Giretto, addirittura, il personaggio arriva a determinati comportamenti spinto appunto dal pregiudizio. All’inizio non capisce il perché della paura che legge negli occhi dei passanti, dopo però scopre che suscitare paura, pur essendo molto innocuo, dà un certo senso di piacere. Mi ha molto colpito la lucidità con cui tratta questo argomento così spinoso…
Ho deciso di mettere Giretto e Spirale in apertura del libro per una ragione. La tensione razziale e sociale alla base dei rapporti di cui parlo in Il sole in testa è il filo conduttore dei racconti e volevo che lo si sapesse sin da subito. Nei due racconti che ho appena citato, entrambi i personaggi escono dal luogo confortevole iniziale, attraversano la città e si ritrovano a interpretare i segnali della realtà che hanno davanti in modo diverso dalle altre persone.
Chi sono i grandi maestri che l’hanno influenzata nella sua scrittura?
Oltre ai grandi scrittori, come per esempio Jorge Amado o nel caso della letteratura mondiale Marquez (la cui scoperta mi ha emozionato fuori misura), ho ritrovato maestri anche altrove: nella samba, nella musica brasiliana degli anni Venti, ma anche nel rap che mi ha influenzato per i suoi temi e il modo di interpretare il paese raccontando le vite della gente di strada e trasformandole in storie travolgenti.
Un’altra grande maestra è stata mia nonna, ma anche mio fratello. Sono entrambi degli straordinari oratori che incantano nel momento in cui iniziano a raccontare. Io ne ero affascinato, anche perché non sono molto bravo a raccontare storie oralmente, allora registravo nella mia mente il ritmo, le pause, le parole che usavano.
Il suo esordio letterario è stato straordinario, qualcuno lo ha definito addirittura da favola: qual è stato il suo percorso da questo punto di vista?
Mi sono reso conto che esisteva una possibilità di fare della scrittura una professione grazie a internet, anche se non ne sapevo nulla di come funzionasse il mercato editoriale. Ho avuto l’occasione di conoscere alcuni scrittori in carne e ossa e questo è diventato un evento molto importante per il mio percorso, ho compreso che esisteva una possibilità reale di pubblicare. Il secondo evento fondamentale è stato quello di partecipare al FLUP, al festival letterario delle favelas, e vincere il concorso da loro indetto.
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Che tipo di scrittore è? Intendo dire, riesce a scrivere ovunque e in qualsiasi momento oppure ha uno spazio riservato alla scrittura, un programma che segue?
Scrivo al mattino. Per mattino intendo dopo le 10 e con la musica in sottofondo. Mi piacerebbe scrivere con il silenzio in sottofondo, ma la vita nelle favelas non è particolarmente silenziosa. La musica, quando scrivo, deve essere senza testo, preferibilmente jazz, altrimenti rischio di deconcentrarmi.
Il processo della scrittura è molto lento per me, consta di molti passaggi. Infatti, la prima stesura la faccio sulla macchina da scrivere così ho modo di correggere e revisionare quello che ho scritto, specie nel momento in cui devo trascrivere sul computer.
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Per la prima foto, copyright: João Pedro Ritter su Unsplash.
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