Alla scoperta de “I misteri della montagna” con Mauro Corona
Torna in libreria Mauro Corona con I misteri della montagna (Mondadori) per raccontare i diari scritti tra un romanzo e l’altro, fra novembre 2013 e marzo 2105. Lo scrittore-scultore, burbero e romantico al tempo stesso, indulge in un racconto dei suoi ricordi e della sua vita a contatto con la montagna; ci conduce ad alzare lo sguardo verso l’alto, cosa che ormai non facciamo quasi più, a contemplare qualcosa di più grande di noi. I misteri della montagna non è propriamente un romanzo, per quanto sia scritto così sulla copertina. Non c’è trama, né ci sono personaggi: «Vado un po’ alla Čecov, “senza trame e senza finale”, ma con risultati tredici anni luce distanti dai suoi» ha puntualizzato. Un’avventura dove il tempo sembra essersi fermato e dove il racconto richiede pazienza al lettore.
Abbiamo incontrato Mauro Corona al Salone Internazionale del Libro di Torino.
Questo libro è un’epopea della montagna, del ricordo e del ritorno all’infanzia. Ha dichiarato anche di aver ingaggiato un corpo a corpo con i ricordi: perché è stato così difficile ripescare questi frammenti di memoria?
Questo libro è un ritorno da una cima, che è la vecchiaia, anche se non sono ancora anziano, mi ci sto gradualmente avvicinando. Sono voluto ritornare indietro, all’infanzia, da dove sono partito perché avevo scoperto che tutto quello che mi sta cadendo addosso in questi ultimi anni è un po’ eccessivo, non ero abituato a questa notorietà. Non mi aspettavo tutta questa notorietà, anche se devo dire che l’ho sempre cercata, e quindi mi ha un po’ frastornato nei miei usi e costumi, modificando il mio atteggiamento nei confronti della natura, così come il mio modo di vivere. Sentivo da qualche anno che mi stavo snaturando, non ero più io, non provavo più le emozioni di un tempo, anche una scalata o una cima, a meno che non la facessi con mio figlio o una persona cara, non era la stessa cosa. La notorietà mi ha un po’ distratto. Allora mi sono detto che era il caso di fare un riassunto della vita e sono tornato all’infanzia. Certo, ho fatto un corpo a corpo con i ricordi, perché non ho avuto un’infanzia facile, e nemmeno un’adolescenza, una gioventù, e oggi un’anzianità. Sono stato colpito continuamente dal dolore, dalla delusione. E allora mi sono detto: «Per tornare bambino che cosa devo fare? Devo spogliarmi, tornare indietro». E così ho iniziato questo viaggio, incontrando tutto quello che mi è capitato – e che la mia testa è in grado di ricordare – questo libro mi ha aiutato molto, mi ha fatto capire molte cose, mi ha ridimensionato. Ho capito soprattutto che non devo perdere tempo e che devo gustarmelo a gocce, intensamente. Oggi sono qui (al Salone del Libro di Torino, ndr) perché non sono riuscito a liberarmi di quella vanità che mi ha spinto a diventare Mauro Corona, seppure con mezzi leali, libri, sculture, scalate e mi accorgo che forse sto perdendo tempo. Questo libro è stato per me una tirata d’orecchi, anche se ancora non ho capito molte cose fino in fondo.
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La voglia di ritornare alla natura, a un paesaggio bucolico è la voglia di ritornare all’infanzia: infatti lei dice che quando arrivano gli adulti rovinano tutto. In che senso?
Ho ripercorso una montagna magica, fatta di sogni, di illusioni. È chiaro che l’eco è un fenomeno fisico, ma voglio continuare ad apprezzare l’eco come un personaggio vero, frutto della mia fantasia, come quando ero bambino. Io chiamo e l’eco mi risponde, vuole sempre l’ultima parola. Noi bambini vedevamo in ogni cosa delle persone e voglio farlo ancora adesso, anche alla mia età. Mi impongo di vivere di sogni. So benissimo che la montagna è una pietra, pur non essendo un geologo, ma desidero la montagna poetica, come l’ho sempre vissuta. Invece gli adulti non ti fanno perpetuare il sogno, non ti fanno vivere di dolcezza, di fantasia. Ebbi uno duro scontro con Margherita Hack, che ammiravo e ammiro tantissimo, a un incontro cui partecipavamo in cui si parlava della luna. Da noi, artigiani e scultori tengono conto delle fasi della luna, calante, crescente, la prima unghia di luna per tagliare gli alberi e così via… Margherita Hack mi smontava tutto questo, pur essendo una donna allegra, vivace, e diceva che era solo una palla di sabbia. Questa cosa mi ha ferito tantissimo. Lo so che è una palla di sabbia, ma la luna incide sulle maree, sulle nevicate, sulle semine, sugli alberi. Voglio vivere di queste illusioni, anche se so benissimo che non esistono. Pessoa diceva che le cose, a furia di pensare che esistono, possono esse stesse esistere. Gli adulti, invece, a cominciare da mio padre che era un delinquente, smontano sempre tutto: quando nevicava guai a dire davanti a lui che la neve era bella, era magica. Dovevamo dire che la neve è brutta, che fa schifo perché porta il gelo, il disagio, occorre la legna, e così via. Insomma, ecco che cosa sono gli adulti, in perenne combattimento giornaliero, anche qui, al Salone delle Vanità, con l’invidia e quel guardarsi di sottecchi. È questa la rottura dei sogni. Potremmo essere tutti scrittori, volerci bene, come persone e come anime, piuttosto che pensare ai pettegolezzi e a star dietro alle sciocchezze. A volte paragoniamo gli adulti, che sanno essere crudeli e violenti, alle bestie. Ma le bestie sono esseri dolcissimi, i cani, così come i leoni, hanno l’anima. Gli adulti, con il male che hanno dentro, rappresentano la guerra. Potremmo parafrasare il primo verso della canzone di De Gregori La Storia, «La Storia siamo noi», dicendo «La Guerra siamo noi». L’uomo non è buono, salvo molte eccezioni. Questa è la rottura dei sogni degli adulti.
La montagna è qualcosa di sacro che non va sfidato, come il mare…
Il mare è una montagna coricata, lo puoi scalare orizzontale, ma può tirarti dentro. Ha cinque sensi, come la montagna che è un oceano verticale, con tutti i suoi misteri. Ogni tanto sputa fuori qualcosa che ha ingoiato, sente gli odori, vede. Vede che l’alpinista non tornerà a casa, lo percepisce, ma non lo dice. Io, quando ero piccolo, chiedevo a mio nonno per provocarlo: «Ma se la montagna sa, perché non lo dice?». «Neanche Dio ti avverte quando è il momento», mi rispondeva mio nonno, che era alto 1.95 cm, analfabeta, con una fede tutta sua. Dobbiamo realizzare che siamo formichine su questa palla che è la terra, e se facciamo qualcosa, uno starnuto o uno sbadiglio del mare ci spazza via e lo dobbiamo mettere in conto. La morte c’è, ma gli uomini vivono perdendo tempo.
Lei punta l’indice contro le politiche e la speculazione che violentano il territorio…
Sulle montagne c’è il bisogno. Chiudono le scuole, gli asili, le farmacie, gli uffici postali perché sono zone che non portano voti. Su da noi, nessuno fa investimenti, pur essendo il nostro territorio Patrimonio dell’Unesco. Se la nostra valle (la Valcellina, ndr) l’avessero gli americani, farebbero faville. Intanto le strade franano, la case scivolano giù e la gente scappa. In una frazione portano i morti con la slitta. Le sa queste cose il Ministro dell’Ambiente? E pensano al Mose, alla TAV, al Ponte sullo Stretto. Facciano quella stradina di 1 km! Questa è la montagna che piange. La montagna da cartolina è ormai sorpassata, per quello c’è Cortina d’Ampezzo. Io voglio stare qui adesso, dove c’è bisogno, dove c’è la mia memoria, la mia infanzia, i miei genitori e i miei nonni, i miei amici che non ci sono più. Non è una nostalgia bieca o retorica. In questo momento della mia vita vivo di ricordi e i ricordi mi vengono a cercare.
Ha iniziato a pubblicare nel 1997, quindi quest’anno diventa “maggiorenne”: ci fa un bilancio, visto che questo libro ne è stata anche l’occasione?
Uno scrittore, uno scultore non è mai soddisfatto perché sta compiendo un cammino. Chi è soddisfatto può chiudere bottega subito. Non è che non sono soddisfatto per vanità, ma perché quando ho scritto qualcosa, l’ho già superata. Al momento, sono abbastanza contento della mia opera. Borges disse «Mi è accaduto di avventurarmi a scrivere, ma ritengo che quello che ho letto sia molto più importante di quello che ho scritto». Ho cominciato a scrivere raccontini per i miei figli per spiegare loro che il papà non l’aveva avuta facile. Ho scoperto che scrivere m’aiutava a uscire dall’inferno, mi raccontavo una storia, e il dolore – in quel momento – se ne andava via. Queste pratiche, quasi terapeutiche possiamo dire, mi hanno aiutato a non suicidarmi e a non cadere nell’alcolismo, come mi è accaduto. Scrivere, in realtà, è anche vanità. Tutti siamo qui per vanità, mica per amore dei libri.
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