Albert Sabin e il vaccino contro la poliomielite nel racconto di Sara Rattaro
Con Il cacciatore di sogni (Mondadori, 2017) Sara Rattaro abbandona momentaneamente il mondo dei suoi romanzi, attraverso i quali ci ha raccontato splendide storie di donne in crisi, spesso sconfitte dalla vita ma anche capaci di risorgere, per rivolgersi ai lettori più giovani, con una storia che attinge direttamente dalla sua formazione scientifica di biologa e docente universitaria.
Luca, il protagonista, è un ragazzino tranquillo che studia con passione il pianoforte, ma un giorno, per colpa di una brutta caduta causata dal suo pestifero fratello maggiore Filippo, si ritrova con una mano fratturata e il rischio concreto di non poter realizzare il suo sogno di diventare pianista.
L'incidente è avvenuto a Barcellona, perciò i due fratelli e la madre devono ora prendere un aereo per rientrare in Italia. È il 4 luglio 1984 e nell'aeroporto regna una grande eccitazione: sul loro volo diretto a Roma sta per imbarcarsi Diego Armando Maradona, che deve raggiungere Napoli, cosa che manda in estasi Filippo, grande appassionato di calcio, ma non Luca, del tutto disinteressato a quello sport. Trova ben più interessante la conversazione con il suo vicino di posto, un distinto e anziano signore che inizia a raccontargli una storia davvero magica, quella dello scienziato Albert Bruce Sabin, che inventando il vaccino contro la poliomielite salvò l'umanità dal rischio di contrarre quella devastante e spesso mortale malattia. Ascoltando quella storia, Luca comprende che non bisogna mai rinunciare a lottare per i propri sogni.
Sara Rattaro è venuta a presentare il suo libro a Milano e le abbiamo fatto qualche domanda su questa nuova esperienza di scrittura.
Perché ha scelto proprio Sabin come argomento per questo romanzo?
Quando la storia di Albert Sabin è entrata nella mia vita, l'ha in qualche modo segnata.
Il 4 luglio del 1984 mio nonno era indignato perché l'aeroporto di Fiumicino era sottosopra per l'arrivo in Italia di Maradona, mentre nessuno si era accorto che sullo stesso aereo viaggiava il grande scienziato Albert Sabin. All'epoca io avevo nove anni e non avevo la più pallida idea di chi fosse Sabin, né che la storia della sua vita fosse un po' magica, ma dopo averla appresa da mio nonno ne ero rimasta così colpita che per anni l'ho raccontata agli altri. Così, quando un paio d'anni fa mi è stato proposto di cimentarmi in un campo diverso dal mio e di scrivere una storia per un pubblico più giovane, a parte la titubanza iniziale, perché non sono una scrittrice di fiabe o di fantasy, ho pensato che questa era la storia che aveva fatto venire i brividi a me da bambina: l'idea in più è stata quella di collocare il personaggio di Luca sullo stesso aereo di Sabin e di Maradona.
Mentre stavo scrivendo ho avuto la fortuna di scoprire che in Italia vive uno dei "figli scientifici" di Sabin, il professor Giulio Tarro, di cui avevo letto diversi articoli, e gli ho scritto un’email, con la convinzione che non mi avrebbe nemmeno risposto.
Invece, con mia grandissima sorpresa, mi ha risposto immediatamente, dichiarandosi felice di potermi aiutare e mandandomi addirittura il suo numero di cellulare, cosa che mi ha gettata nel panico perché non sapevo come rivolgermi a una persona del genere.
Penso che abbia ereditato da Sabin anche la semplicità e la gentilezza nei rapporti con gli altri, che è una caratteristica dei veri grandi, di coloro che non hanno bisogno di dimostrare nulla a nessuno. Da lui non solo ho appreso molte cose della vita di Sabin e della sua grandezza come insegnante, ma ho avuto anche dei chiarimenti sui metodi usati nelle sue ricerche. Io sono una biologa e conosco il linguaggio scientifico, ma in alcuni casi non mi era chiaro del tutto il persorso seguito da Sabin per arrivare alle sue scoperte.
Il professor Tarro come ha reagito al fatto che lei volesse scrivere questa storia su Sabin?
Era contento! Quando gli ho mandato il libro si è commosso e mi ha detto che gli avevo fatto rivivere delle emozioni. Ho molto rispetto per le eccellenze che non possono dedicarti parte del loro tempo, e invece lui è riuscito a farlo.
Come mai ha scelto solo ora di raccontare la storia del suo eroe?
Mi è arrivata la proposta da Mondadori di scrivere un libro per ragazzi: già non avevo mai immaginato di fare la scrittrice, figuriamoci di libri per ragazzi. Tutto questo però è antecedente alla polemica recente sui vaccini, perché il libro l'ho scritto tempo fa, quindi non si tratta di una strumentalizzazione dell' argomento.
Comunque, ho un figlio di due anni e mezzo a cui ho praticato tutti i vaccini possibili.
Oggi si fanno tanti discorsi, e spesso si cerca anche di fare i furbi di fronte a uno Stato che però ti garantisce la salute: scommetto che tutti i genitori che ora protestano, ai tempi di Sabin, quando i bambini morivano, avrebbero fatto la fila per avere il vaccino.
Passare dal raccontare delle storie molto forti e struggenti, come quelle delle protagoniste dei suoi romanzi, a questa che è una storia a modo suo struggente, ma molto più positiva di quelle a cui eravamo abituati, ha significato qualcosa? C'è stato magari un senso di sollievo in questo cambio di registro?
Sì, perché c'è stata tanta emozione. Paradossalmente questo è il libro che mi appartiene di più, perché contiene una mia storia affettiva, che non viene raccontata ma riguarda la mia infanzia, la mia famiglia e un nonno che non c'è più da tanto tempo, di cui questo è uno dei pochi ricordi che mi sono rimasti.
Quando racconto le mie storie tormentate, in realtà, quando arrivo alla fine e trovo un finale possibile, provo comunque un senso di sollievo. Questa è di sicuro un'emozione più pura, perché di solito racconto i lati oscuri di uomini e donne, mentre in questo caso c'è senza dubbio lo sfondo oscuro della guerra e dell'antisemitismo, ma la componente nera non fa parte dei personaggi.
Visto che nei suoi romanzi si parla soprattuttto di donne, come mai in questo caso ha invece impostato una storia tutta al maschile?
Direi che è venuta per caso, senza nessun retropensiero. L'idea è quella di scrivere casomai in futuro anche la storia di un'eroina accoppiata a un personaggio femminile. Di storie da raccontare ne ho, lo sanno bene anche i miei studenti all'università, a cui racconto sempre una storia prima di iniziare la mia lezione, di solito la biografia di qualche personaggio importante. Anche nelle mie storie per adulti, del resto, lascio sempre spazio alle voci maschili, tanto che a volte mi dicono che i personaggi maschili sono migliori di quelli femminili.
Si sente più Albert o Luca?
La storia di Albert forse mi ha avvicinato alla scienza, anche se avevo una redisposizione genetica al riguardo, ma di sicuro mi ha reso una persona migliore. Credo nella generosità e cerco di esserlo.
Quanto c'è di suo figlio Samuele in questa storia?
È ancora piccolo, ha solo due anni e mezzo, ma questo libro è dedicato a lui: non vedo l'ora che abbia l'età per capire la generosità, per potergliela raccontare e insegnargliela.
Essere generosi non fa solo bene agli altri, ma anche a noi quando lo siamo. Ed essere una mamma ha comunque addolcito un po' la mia scrittura.
Sente di essere un po' ritornata bambina scrivendo questa storia?
Sì, è stato molto bello e intenso, anche se è durato poco. La stesura non mi ha preso neanche un mese, ma sono felicissima di aver scrittto questo romanzo.
Mi piace l'idea di aver fatto qualcosa che non faccio normalmente e di aver già avuto un bel riscontro incontrando i ragazzi nelle scuole. Ogni tanto ci si deve misurare con cose diverse.
Nell'ultimo anno e mezzo sono state riscoperte le storie vere raccontate ai bambini, come le biografie di personaggi famosi, soprattutto in chiave di ribellione. Ho trovato tanta ribellione anche in questa storia. Quali sono state, crescendo, le sue storie di ribellione? Ne ha altre oltre a questa?
Sì, io sono una fanatica di Nellie Bly, la mamma del giornalismo investigativo, che alla fine dell'Ottocento si era fatta assumere da Pulitzer e l'aveva convinto a farla chiudere in un manicomio per indagare sulle condizioni tremende di vita delle donne internate. La sua inchiesta ha poi contribuito a far modificare la legge americana in proposito.
Anche Marie Curie è uno dei miei miti, soprattutto per aver vinto un secondo Nobel da sola, dopo il primo in coppia col marito. Da vedova era stata accusata di essere l'amante di un uomo sposato, un altro scienziato, tanto che da Stoccolma le avevano fatto sapere che sarebbe stato preferibile che non si presentasse a ritirare il premio, essendo così chiacchierata. A convincerla ad andarci lo stesso, ignorando le critiche, fu Albert Einstein.
Ho storie per altri libri, insomma.
Da biologa e da insegnante come vede la ricerca scientifica in Italia e qual è l'interesse al riguardo dei suoi studenti?
In Italia fondi per la ricerca non ce ne sono, quindi non ci sono posti di lavoro. Da biologa avrei voluto fare la ricercatrice, ma avrei fatto la fame o la precaria. In questo l'Italia non sarà mai un paese all'avanguardia. Il problema fondamentale è che noi abbiamo una cultura molto rivolta al passato: è vero che dall'altra parte del mondo sono fin troppo proiettati verso il futuro e ignorano tutto quello che è venuto prima, ma da noi sappiamo fin troppo bene le cose di mille anni fa e pochissimo quelle attuali.
Tanti ragazzi dovrebbero fare lavori che neanche conoscono: solo quindici anni fa nessuno pensava di poter diventare blogger come voi, o social media manager, ma i mestieri del futuro si imparano guardando al futuro.
Da noi si fa carriera da vecchi, un quarantenne è considerato ancora un giovane esordiente. A me, che ho quarantadue anni, continuano a dare della "giovane scrittrice". E poi abbiamo una cultura troppo classica, mentre nel mondo di oggi certe cose servono sempre meno.
Perché c'è una dicotomia così forte tra letteratura e scienza? Il suo libro può essere considerato letteratura divulgativa, in quanto vuole spiegare una storia importante per la scienza romanzandola, ma sono pochi i libri di questo genere.
In effetti, se non sai chi sono stati Dante e Manzoni ti danno dell'ignorante, mentre se non sai chi era Albert Sabin nessuno si scandalizza, e questo perché la nostra è una cultura letteraria e maschilista: a scuola io ho letto solo grandi maestri della letteratura italiana, non c'era nemmeno una maestra, nemmeno la Deledda che è stata premio Nobel, e le materie letterarie dominano tuttora anche nei licei scientifici. Sarà per la nostra tradizione passata, però oggi il mondo sta prendendo una direzione diversa.
Prossimo progetto?
Per gli adulti arriverà il nuovo romanzo a febbraio, la storia di due donne che s'incrociano in un momento difficile e diventano amiche, si parlerà quindi di amicizia e solidarietà femminile, e di quell'abbandono che fa bene alla vita.
Mi piacerebbe anche scrivere un'altra storia per ragazzi, ma dipenderà molto dal successo di questo. Il primo incontro che ho avuto nelle scuole è stato incoraggiante, sono partiti anche dei progetti con i ragazzi e vedremo cosa succederà.
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Per la prima foto, copyright: andrew jay.
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