A distanza di 4 mesi, ecco il futuro di Charlie Hebdo
A distanza di 4 mesi, ecco il futuro di Charlie Hebdo, la rivista settimanale di satira francese colpita dal terrorismo religioso.
La mobilitazione mondiale che ha fatto seguito all'attentato del 7 gennaio 2015, costato la vita a 12 persone (tra le quali il direttore Stéphane Charbonnier, alcuni collaboratori del periodico, e due poliziotti), aveva portato la tiratura del numero 1.178, quello successivo all'attentato, a quasi 8 milioni di copie, contro le 60mila abituali, facendo impennare anche il numero degli abbonamenti (da 7mila a 220mila). Tuttavia il settimanale non sembra poter più tornare quello di prima.
Se fino a dicembre 2014 Charlie Hebdo correva il rischio di chiudere a causa della diminuzione degli introiti pubblicitari, dopo l'attentato sono arrivati fondi pubblici e privati (molti sotto forma di donazione) che hanno portato nelle casse di Charlie qualcosa come 15 milioni di euro. Proprio l'improvvisa ricchezza pare abbia portato i primi malumori interni, in merito alla gestione di tutto questo denaro. «Il denaro può far impazzire la gente», sembra abbia detto l’editore, Gérard Biard.
Ma c'è da dire che fin da subito dopo l'attentato erano nati dei dissidi. Se in una pubblicazione che si è fatta paladina della libertà a 360°, fino a prima del 7 gennaio qualsiasi divisione interna era sempre stata superata con facilità, dopo l'attentato di gennaio pare siano aumentate le divergenze. Il primo a parlare era stato uno dei fondatori del giornale, l'ottantenne Delfeil de Ton, ex vignettista di Charlie Hebdo, che aveva pubblicamente criticato la testardaggine di Charbonnier: «Ce l'ho veramente con te, Charb – ha detto –. Che bisogno c'era di questa escalation a tutti i costi?».
Nota a margine: è interessante quanto fa notare Marc Semo, caporedattore di Libération, in una dichiarazione rilasciata qualche settimana fa a L'Espresso. Dieci anni fa, quando ci fu la rivolta delle banlieue, chi protestava chiedeva di essere “più francese”, mentre oggi «sono crollati i quattro pilastri su cui si basa l'integrazione: i partiti di massa non esistono più, i sindacati hanno perso potere, non ci sono stati investimenti sulla scuola e si è cancellato il servizio di leva obbligatorio, passaggio fondamentale per favorire il senso di appartenenza alla nazione». L'immobilismo di fronte a un gran disagio sociale e identitario ha quindi portato moltissimi musulmani francesi a identificarsi con altro, come l'Isis, ad esempio. Considerando dunque il clima che si respira in Francia in tema di integrazione, sono in molti a pensare che de Ton non abbia tutti i torti.
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Peraltro si tratta di discordanze non solo recenti se è vero che anche Wolinski, uno dei vignettisti rimasti uccisi, in merito alle vignette sull'Islam, aveva dichiarato: «Credo che siamo degli incoscienti e degli imbecilli che corriamo un rischio inutile». Dei giorni scorsi, poi, la notizia di un procedimento disciplinare contro Zineb El Rhazoui, giornalista marocchina sopravvissuta alla strage di gennaio. I vertici dell'azienda hanno minimizzato e smentito le voci di licenziamento in atto, ma secondo la giornalista tutto nasce dalle sue recenti contestazioni alla dirigenza del giornale.
Quindi c'è da fare i conti anche con il terribile ricordo di quel che è successo a inizio anno, immagini impresse nella memoria dei vivi, memorie capaci di bloccare una parte della redazione, che ora non appoggerebbe più la linea editoriale di Charb e vorrebbe pubblicazioni più morigerate. Lo stesso direttore Renard Luzier, nell'annunciare le sue dimissioni per settembre di quest'anno, ha dichiarato: «Vivo notti insonni in cui evoco quei morti nel massacro del 7 gennaio».
E pazienza se da un'analisi pubblicata da Le Monde è apparso che negli ultimi 523 numeri di Charlie Hebdo, solo 38 avevano soggetti religiosi in copertina, e di questi solo 7 riguardavano l'Islam. Comunque sia, la provocazione è bastata a scatenare la fatwa di predicatori integralisti, secondo alcuni dei quali «la vignetta è un atto di guerra». Così potrebbe essere questo, a distanza di 4 mesi dall'attentato, il futuro di Charlie Hebdo.
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