Intervista ad Antonello De Sanctis
Autore: Morgan PalmasGio, 22/07/2010 - 09:47
Di Morgan Palmas
Antonello De Sanctis, autore dei testi di numerosi successi musicali, si racconta in questa intervista, recente anche il suo primo romanzo
Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.
Ho cominciato ad amare la duttilità delle parole nel momento che ho imparato ad apprezzare la rotondità delle vocali e delle consonanti a fronte dell’impalato ripetersi delle aste. È da allora che la costruzione delle frasi, l’incontro o la collisione dei vocaboli, l’armonia o il loro stridere hanno iniziato a cercarmi. Non trovandomi in molti casi.
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?
Ho studiato molto per non diventare un letterato, mi ci sono applicato con impegno. Questo mi ha aiutato a non privilegiare il culto per la forma all’essenzialità dell’istinto. Cerco di fare in modo che i lettori, nello scorrere le pagine, abbiano l’impressione di guardarmi negli occhi. Non sono insomma un architetto, ma un muratore dello scrivere. E questo mi sa di amore, di lealtà… sperando che la casa sia solida!
Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.
Sedermi davanti a un computer rispettando orari preordinati mi manderebbe in paranoia. Quando lavoravo in un carcere minorile a Santa Maria Capua Vetere e scrivevo canzoni, nei miei spostamenti sull’autostrada Roma-Caserta mi portavo dietro un block notes e ci segnavo le idee che mi venivano in mente rischiando di buttarmi sotto un camion con la mia cinquecento sgangherata. Ora, nell’età della prudenza, mi prendo meno rischi ma mi capita di svegliarmi di notte, di alzarmi ed entrare nello studio per appuntare qualcosa che mi sembra geniale. Vero è che, rileggendomi la mattina dopo, spesso il foglio finisce nel cestino per diventare carta da macero. “Talento” e sregolatezza, se vogliamo dire così, con parecchi punti a vantaggio della seconda.
Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
Non faccio mai a meno di una bottiglia di bianco a sinistra della tastiera e di un pacchetto di sigarette alla mia destra. Debolezze, cattive abitudini, rassicurante ripetersi degli atti nel momento che sto per affrontare il panico di una pagina vuota.
Aneddoti particolari non ne ho se non che – per tornare alla domanda di prima – alla razionalità d’inizio bottiglia si sostituisce gradualmente l’istinto quando comincio a intravederne il fondo. Ed è da lì che inizia il mio viaggio.
Wilde s’inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?
Io mi limito ad avere pari rispetto e curiosità per il bianco e il nero, l’alto e il basso, il bello e il brutto, il genio e la sua negazione. L’arte, così come la vita, si arricchisce delle diversità, quali esse siano. Ho trovato poesia in componimenti sgrammaticati e freddezza in passaggi nati dalla ricerca estetica o dall’autocompiacimento. Conquistato comunque, in entrambi i casi, dalla voglia di darsi di chi trova il coraggio di regalarsi agli altri.
Non riesco a collocare temporalmente i grandi scrittori perché penso – come Keats, appunto – che una cosa bella sia una gioia per sempre.
L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?
Mi chiedo se questi luoghi d’incontro rappresentino una reale esigenza di confronto per gli scrittori o sappiano piuttosto di vetrine espositive. A me basta una panchina o un’osteria, dove non si è osservati ma si osserva. Per far conoscere i miei lavori, mi piacerebbe girare sul furgone di un robivecchi tenendo l’altoparlante acceso: “Il robivecchi, donne! Vendo e compro pezzi d’anima, aggiusto le emozioni che avete abbandonato nelle vostre cantine… riparazioni accurate…”.
Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
Non lo so. So che vivere è altra cosa che scrivere: è sentire freddo o caldo, essere sazi o avere voglia di fare l’amore, è essere tristi o felici. Abrasioni e carezze sulla pelle.
Scrivere è conseguenza del vivere e mi sa d’implosione, di bilanci autunnali.
Leggere invece mi dà l’idea dell’esplodere della primavera quando tutto si rigenera.
Nel moto perpetuo che rende questa nostra vita affascinante, irripetibile, unica.
La ringrazio e buona scrittura.
Grazie a voi.
Antonello De Sanctis scrive da una vita testi di canzoni: da Padre davvero di Mia Martini ad Anima mia dei Cugini di campagna, da Tu mi rubi l’anima del Collage a Laura non c’è di Nek e via dicendo. Nel 2007 ha dato alla stampa un libro autobiografico intitolato Non ho mai scritto per Celentano e recentemente ha pubblicato con la No Reply il suo primo romanzo intitolato Oltre l’orizzonte. Notizie sul libro potrete assumerle su
Una pagina di amici dove troverete interviste, notizie, riferimenti al romanzo, la canzone omonima di Francesco Arpino che al libro si è ispirata e mille altre curiosità.
È presente in quello spazio e vi aspetta lì per conoscersi, parlarsi, confrontarsi.
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