Intervista a Marco Missiroli
Autore: Morgan PalmasMar, 25/05/2010 - 09:54
Di Morgan Palmas
Marco Missiroli e il metodo
Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.
Ho iniziato a scrivere a 21 anni, prima al massimo riempivo mezza pagina di diario. È successo per caso, non avevo nessun “fuoco” che ribolliva. Un giorno è arrivata questa storia, ricordo perfettamente, ero sotto un portico di Bologna: poi l’ho scritta. E quello è stato il mio primo romanzo pubblicato.
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?
C’è istinto nel far venire la storia, nel recepirla, nel gestirla. Sono tre tappe in cui si inseriscono processi razionali molto forti. E poi, certo, la volontà che è forse il collante principale.
Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.
Sono molto metodico. Dal momento che inizio un libro vale la regola di una pagina al giorno costi quel che costi (alcuni romanzi solo di mattina presto, altri di sera). Poi, una volta finito, parto con le fasi di riscrittura che possono durare anche anni.
Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
Il mio formato di pagine elettronica, sempre lo stesso. E poi il mio “font” e la dimensione dei caratteri, sempre gli stessi.
Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?
Niente di così eclatante! Li leggo e imparo sempre, c’è sempre da imparare. Non credo che i grandi modelli del passato possono essere destituiti, come nemmeno idolatrati. Si sa da chi si può recepire, o comunque lo si sente. E si attinge.
L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?
Oramai la scena è molto frammentaria e i “salotti” sono concentrati dove le città per ragioni professionali e demografiche accolgono più persone e culture. Di certo, Torino ha una bella densità culturale e narrativa. Ne è un esempio il meraviglioso circolo dei lettori che è l’emblema della città piemontese. E poi ci sono i festival che fanno ritrovare scrittori, scritture e persone, così i luoghi dei libri diventano itineranti. È il caso del Piccolo Festival di Letteratura di Bassano del Grappa, per esempio.
Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
Mi ha migliorato, credo. Mi ha dato più consapevolezza, ma anche più riflessione. E molte volte “più riflessione” significa meno spontaneità.
La ringrazio e buona scrittura.
Grazie a te.
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