BINARI (2) – Ribellione
Autore: Giovanni TuriMar, 06/04/2010 - 07:28
Di Giovanni Turi
Sono stato a lungo indeciso se intitolare questo articolo Ribellione e non piuttosto Voragine, poiché la rivolta in questione è anche quella scaturita con i moti sessantottini, che ha generato un vuoto di valori mai più colmato. Si correva tuttavia il rischio di distogliere l’attenzione dal fulcro dei due romanzi su cui voglio soffermarmi, Pastorale americana e La guerra dei figli: in entrambi l’ispirazione è data dalla conflittualità tra genitori e figli esplosa con particolare virulenza al termine degli anni ’60, quando emerse ormai chiaramente che i valori tradizionali non potevano più essere inculcati nelle nuove generazioni. Ecco allora perché ho scelto Ribellione: per includere sia quella riconducibile a un preciso contesto storico, sia quella intergenerazionale che con modalità proteiformi si rinnova e si ripete stagione dopo stagione.
Philip Roth e Lidia Ravera constatano come, smarriti i valori consolidati e le chiavi interpretative del reale, a sgretolarsi sia stata innanzitutto l’idea di famiglia: non più nucleo basilare dell’armonia individuale e sociale, ma barriera da abbattere per affermare la libertà, una libertà che si voleva incondizionata e assoluta pur non sapendo, in realtà, cosa fosse e a che servisse...
“Ricorda il senso di libertà, quando il padre e la madre sono partiti.
Un’ebbrezza che non l’ha abbandonata mai, neanche quando ha scoperto le notti brevi e le mattine di sonno pesante, le giornate fluide, prive dell’ossatura degli orari, senza pasti principali, scontornate. Non ha mai smesso di godere di un inebriante senso di libertà nemmeno quando ha incominciato a sospettare di non avere talento né desideri, né rabbia sufficiente per vivere senza talento e senza desideri. Nemmeno quando ha capito di non aver voglia di dar inizio a niente. Nemmeno quando la solitudine senza nemici della vita lontano dalla famiglia le è apparsa, improvvisamente, malinconica.” (Lidia Ravera, La guerra dei figli, Garzanti)
Il romanzo di Lidia Ravera, con uno stile carico di angoscia e dall’ironia tagliente, narra l’incapacità di Elisa di diventare, come la sorella Maria, protagonista della ribellione, ideologica ma anche armata; se la sua scelta derivi da scetticismo, viltà o ragionevolezza è compito del lettore stabilirlo, ciò su cui l’autrice non lascia dubbi è che quel mito (chiamato di volta in volta giustizia, egualitarismo, libertà, ecc.), nel nome del quale si riempivano le piazze, era inesorabilmente destinato a tramontare. Stona un po’ il finale consolatorio, quasi si volesse ridimensionare la lucida disanima offerta pagina dopo pagina, ma probabilmente è solo un ammiccamento ai lettori più pavidi.
Con Philip Roth il punto di osservazione non è più quello della progenie, bensì quello di un padre che ama profondamente sua moglie e sua figlia Merry, ma non riesce ad arginare le forze centrifughe che le conducono sempre più distanti dal focolare domestico. Merry si illuderà di difendere il diritto alla vita ordendo attentati terroristici, e il padre di poterla e potersi in qualche modo redimere.
“L’uomo dice solo: «Non sono a conoscenza del luogo dove può trovarsi mia figlia». E il padre della Terrorista di Rimrock gli crede, capisce fin troppo bene la sua scarsa comunicatività, conosce meglio di ogni altro padre americano il peso dell’angoscia che si cela sotto la piatta formulazione: «Non sono a conoscenza del luogo dove può trovarsi mia figlia». Se non fosse capitato a lui, forse tanta reticenza lo avrebbe stupito. Ma lui sa che la verità è che i genitori della ragazza scomparsa stanno affogando proprio come lui, affogando giorno e notte in un mare di spiegazioni inadeguate.” (Philip Roth, Pastorale americana, Einaudi)
Attraverso un dramma privato, Roth descrive anche il tracollo dell’America progressista e fiduciosa in una nazione franta in schegge dissonanti dalla contestazione interna alla guerra in Vietnam e dallo scandalo del Watergate, dimostrandosi acuto osservatore di un’epoca, oltre che profondo conoscitore dell’indole umana. Indole incline all’idealismo e alla rottura, ma spesso incapace di saper poi ricomporre la realtà incrinata.
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