Intervista a Giovanni Montanaro
Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.
Credo di avere sempre scritto, da quando sono nato. Da piccolo, per esempio, mi inventavo gialli con protagonista un poliziotto, il tenente Robson. Ce li ho ancora, da qualche parte. Del resto, sino alla fine delle medie leggevo quasi solo la Gazzetta dello Sport e Agatha Christie. Poi, ho cambiato letture e gli anni del liceo hanno un po’ appesantito la mia fantasia; mi ero messo a comporre romanzi psicologici e filosofici assolutamente illeggibili. Dopo ho continuato, fino a giungere ai primi testi teatrali e ai romanzi. Ma, in sostanza, non ho mai cominciato a scrivere e non ho mai smesso. È una parte della mia anima, la più importante, e ha segnato tutta la mia vita.
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?
A metà. L’istinto creativo è l’accompagnamento quotidiano, la visita continua di idee, immagini, oggetti, volti da collocare, da far diventare inchiostro. Un pianoforte e un quadro, un pallone da calcio e una donna dagli occhi verdi; tutto chiede di diventare storia. L’istinto è il modo in cui si guardano le cose, in cui entrano dentro di te i fatti, le persone, l’undici settembre e lo sbarco sulla luna, un pullover del nonno e una frase di un amico. Poi però è necessario che quel magma diventi un vaso, con la perizia e la pazienza di un artigiano. È un esercizio di razionalità, la forma, l’intreccio. Il lavoro di gioiosa disciplina che consente di creare una comunicazione con il lettore.
Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.
Io scrivo quando capita. Facendo il praticante avvocato a ritmi piuttosto sostenuti, strappo ore di sonno e weekend, pause pranzo e viaggi, senza troppo metodo. Però lo scrittore è tale sempre, ventiquattr’ore su ventiquattro. Al di là del tempo tecnico della composizione, si crea sempre. Ovvero, si è continuamente in compagnia delle proprie storie, dei propri personaggi. Dalla mattina alla sera, anche quando si fa altro. E anche appena si finisce un romanzo, un racconto, un pezzo di teatro, subito quel vuoto viene colmato da nuove immagini, che non si placano finché non vengano nominate, collocate, raccontate. E così daccapo. Una parte della testa è sempre volta all’invenzione.
Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
Io scrivo dappertutto, a casa come in treno. Mi basta il mio computer, un foglio di moleskine o talvolta anche un telefonino dove si appunta una poesia. Quanto a quel che cerco intorno, dipende; talvolta cerco il silenzio assoluto, qualche altra invece metto su Yann Tiersen. Qualche altra ancora, poi, qualche pezzo meno melodico – mi viene in mente Blue Monday dei New Order – per avere un po’ di ritmo.
Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?
Ho ben più simpatia per Wilde che per Marinetti. Sono legatissimo ai classici del passato, ai Dostoevskij e ai Mann, ai Sartre e ai Maupassant. Ma mi piacciono anche i moderni, Mc Ewan ed Erri De Luca per esempio. Il mutamento di atteggiamento nei riguardi di questi colossi, forse, deriva dal fatto che solo con il tempo si acquista la consapevolezza di essere uno scrittore, e quindi ci si pone interrogativi diversi, si vedono tracce delle proprie letture nelle proprie opere, si assume la pagina come uno stimolo e non solo come un incanto.
L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?
Effettivamente, le occasioni di incontro e confronto sono modificate e moltiplicate; certi blog ormai sostituiscono in toto i vecchi caffè letterari. Gli scrittori si concentrano sempre più dove stanno gli editori – che sono, in sostanza, sempre meno: Milano, Roma. Però, resistono intatti i luoghi letterari, e tra questi la mia Venezia. E non è da sottovalutare l’esistenza di nuovi luoghi: in particolare, è curiosa e interessante la riflessione che gli scrittori del Nordest fanno sulle proprie terre, come un grande luogo letterario, con centri e periferia. Penso a Scarpa, Trevisan, Covacich, Bulgaro, e tanti altri.
Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
Migliorato. Anche se, come detto, non posso pensare a una vita senza scrittura. Ho da sempre assunto in me la scrittura, ogni sua contraddizione, la pericolosità di sentirmi talvolta fragile, talvolta di non capirmi, di restare per mesi in attesa di conoscere la prossima mossa di un mio personaggio. È la mia vita, non potrebbe essere diversa. E, tutto sommato, mi piace moltissimo; certo di carattere non sono il tipico scrittore complessato, misogino e rancoroso.
La ringrazio e buona scrittura.
Grazie a lei.
Giovanni Montanaro pubblica oggi, 9 settembre 2009, il suo nuovo romanzo "Le conseguenze".
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Commenti
Oh, molto simbolico uscire con l'uscita del libro.
In bocca al lupo :)
e poi 9-9-9. Molto fortunato. Bello.
@Morena: più che simbolico, concordato con Giovanni, ma mi pare il minimo dato che usciva in questo periodo. Ho letto il suo primo libro, giustamente criticato in modo positivo. Da parte mia, lo apprezzo, ho avuto modo di sentirlo a una conferenza e mi è sembrato un giovane in gamba.
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