Scrivere un romanzo in 100 giorni - Lezione 70
Autore: Morgan PalmasGio, 13/08/2009 - 08:30

Un giudizio immaginato e un giudizio previsto. Il primo giacché meditate su un possibile lettore del quale non conoscete il nome, ma che in qualche modo ritenete che reputi il vostro romanzo così e così, a seconda del vostro umore nel momento in cui ci pensate. Il secondo, quello previsto, lo attribuite al marito, alla moglie, al fidanzato, alla fidanzata, agli amici, ai figli, ai parenti, coloro che conoscete di persona. Siete sicuri che loro avranno una precisa idea di voi e del vostro romanzo quando uscirete allo scoperto.
Da un lato, siete lieti di farvi conoscere dal punto di vista artistico – concedetemi tale termine, anche se è bene prenderlo con le pinze -, dall’altro lato, ne temete il giudizio e potreste subirne una frustrazione anticipata, tanta è l’aspettativa che vi state già creando.
È chiaro che questo discorso vale soprattutto per le persone più introverse, meno per gli estroversi e, quindi, più disposti ad accettare con disinvoltura e sfrontatezza eventuali critiche.
Bisogna imparare a gestire la frustrazione, indipendentemente dalle cause. Annullarla è capacità di pochi, conviverci con più serenità lo possono fare tutti.
Cercate di concentrarvi non sul giudizio del lettore, nonostante sia comprensibile talvolta che diventi un vostro pensiero, bensì sui piccoli passi che state compiendo giorno per giorno. Alla fine ciò che conta è il giudizio che voi date di voi stessi, su di esso potete avere un’idea precisa con il trascorrere del tempo, mentre per i giudizi altrui potete vagare fra mille possibilità, e magari nessuna corrisponderà al vero.
Per quale ragione perdere tempo a riflettere su che cosa penseranno Tizio e Caio del vostro romanzo, quando non potete formulare nulla di esatto? Non è forse più intelligente e sensato pensare ai vostri limiti, alle vostre capacità, alle storie che state creando, ai passi che avete fatto rispetto a qualche mese fa?.
Perché perdere energie con chi pensa che voi siate dei perdigiorno a scrivere un romanzo? Perché sprecare tempo con chi vi ritiene dei poveri illusi? Pensate davvero che se anche pubblicaste con un’ottima casa editrice e riusciste a vendere ventimila copie del vostro romanzo quelli cambierebbero idea? Non siete convinti che direbbero in ogni caso che il vostro è stato un caso fortunato?.
Per tali motivi vi consiglio di non perdervi in scenari mentali di possibili giudizi; pensate a scrivere, meditate sulle vostre storie, sui personaggi, sui dialoghi, sulle descrizioni, concentratevi insomma sulla sostanza del vostro lavoro: la scrittura.
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Commenti
Approvo in tutto. Sei anni di blog, e di confronti con altre persone che amano la scrittura, mi hanno corazzata verso eventuali giudizi negativi. E ho anche imparato che non si può [non si deve] piacere a tutti.
Io sto cercando di migliorarmi e da quando ho iniziato con questo romanzo vedo la differenza, tanto che ho dovuto riscrivere tutta la prima parte. Per ora sono soddisfatta del lavoro svolto e questo è ciò che mi interessa.
Ma mi sto impegnando molto. Chi dice che scrivere non è faticoso, mente :)
(a questo proposito, ho appena terminato un libro. anzi due. dirò del secondo: l'autore - molto noto- di questo libro ha sudato meno di quello che sto facendo io, ve lo assicuro. allora, io mi domando: perché a me non è venuta in mente una storia simile come mio primo romanzo? tanto per farmi le ossa. lo so, è una domanda oziosa. ognuno si scriva i suoi romanzi)
ok, mi metto a lavorare :)
@Morena: In rete l'apparato immunitario si sviluppa con il tempo e le relazioni. All'inizio ci si arrabbia per piccolezze, poi molto meno. Non so se scrivere sia faticoso, bisogna intendersi con i termini, per me faticoso è il lavoro del muratore, del camionista o il tunisino che gira sulla spiaggia a vendere finché tutti si rilassano. La scrittura necessita di impegno, questa è la mia idea. Tu che cosa pensi?
Certo. Probabilmente il termine 'faticoso' da me usato, si può interpretare con 'impegnativo'. E che scrivere sia impegnativo è sicuro.
Però io volevo dire che esiste anche una fatica intellettuale, che non è quella di chi scarica camion o trasporta carriole di sabbia (ho fatto anche questo mentre ristrutturavamo casa e so cosa significa, anche se non lo facevo di mestiere), ma è una fatica che ti prosciuga, che ti spreme, che ti allontana da altre attività e ti toglie qualcosa.
Però ci sono fatiche e fatiche, anche nella scrittura.
Questo volevo dire. prendiamo ad esempio Underworld di Don DeLillo: 880 pagine di America. Al di là della lunghezza del romanzo (roba che io ne avrei fatti tre con tutto quel materiale, come ho scritto più volte), in questo romnazo DeLillo ha messo molto impegno. Il romanzo di cui parlavo ieri per me è un racconto 'allungato' e non mi fa pensare ad una cosa che sia costata fatica e sudore.
Ma forse non sempre è necessario che sia così e sono io che ho idee balorde.
Inoltre io sono al mio primo romanzo e forse ho una visione ancora molto ingenua della scrittura.
Presumo che dal secondo in poi sarà una passeggiata ;)
ps. in ogni caso non intendo evitare questa 'fatica', che in fondo non lo è.
@Morena: sì, ci siamo capiti. L'ingenuità, quando non lasciata sempre a briglia libera, secondo me è una virtù. Il suo contrario è detestabile.
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